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October 28, 2025

Non è colpa tua (e altre bugie che ci raccontiamo su Foggia)

Milano. Quarantesimo piano. Torre Unicredit. La città si stende sotto di me come un plastico perfetto, abitato da formiche ben vestite.

È l'ora dell'aperitivo aziendale. Quell'ora bastarda sospesa tra la produttività e l'oblio. L'ora in cui la luce muore ma il lavoro non finisce davvero; cambia solo stato di aggregazione. Diventa liquido. Diventa Spritz. Diventa Negroni. Diventa chiacchiera che riempie i vuoti.

Lei si avvicina. Senior Marketing Strategist. Trent'anni. Un profumo che sa di sandalo e ambizione. Scarpe che costano quanto una Fiat Panda usata. E un sorriso che non arriva mai alle gengive.

«Comunque sei incredibile, davvero. Io non so come fai.»

«In che senso?» chiedo.

«Nel senso che... insomma, guardati. Sei qui. Sei uno di noi. Eppure vieni da lì.»

Pausa.

«Vengo da lì.» Ripeto. La voce neutra. Piatta come l'elettroencefalogramma di un morto.

«Sì, Foggia, no? Quel posto lì. La mafia, le bombe, la polvere, la Quarta Mafia, come la chiamano nei podcast true crime... Insomma...»

Fa un gesto vago con la mano inanellata. Un movimento elegante del polso per scacciare una mosca fastidiosa. O un cattivo odore che risale dai tombini della memoria.

Poi, con una confidenza che non ci siamo mai dati, appoggia la mano sulla mia spalla.

«...ma non è colpa tua. Davvero. Sei riuscito a scappare. Ti sei salvato. Non è colpa tua se sei nato lì.»

Il peso di una frase

Non è colpa tua.

Quella frase mi è rimasta addosso come olio freddo. Come quando torni a casa dal ristorante e ti accorgi che i vestiti hanno assorbito l'odore della cucina. Solo che quest'odore non andava via con un lavaggio. Era entrato più a fondo. Nelle ossa. Nello stomaco. Nel punto esatto dove mio padre aveva preso l'infarto mentre aggiustava una scarpa.

Per anni ho creduto a quella frase.

Ho creduto che il successo fosse "salvarsi". Che laurearmi, trasferirmi a Milano, lavorare per multinazionali fosse la prova che ce l'avevo fatta. Che non ero come "quelli di Foggia". Quelli della polvere, del caldo che spacca le pietre, del vento che ti entra nelle ossa anche quando non soffia.

Ho creduto che la frase di Marta fosse un complimento. Un riconoscimento del mio talento nel trascendere le origini. Invece era compassione. Era la compassione del vincitore verso il sopravvissuto. La pietà che l'impero riserva ai barbari che hanno imparato a usare le posate senza fare rumore.

Poi una sera, dopo l'ennesimo aperitivo finto con gente finta che parlava di autenticità mentre beveva prosecco bulgaro spacciato per Franciacorta, mi sono fatto una domanda:

E se non fossi io quello che si è salvato? E se fossero loro quelli che si sono persi?

Da quella domanda è nato un libro.

Fuggi da Foggia: storia di una fake news secolare

Prima di parlarvi del libro (e sì, voglio che lo compriate, e non ho paura di dirvelo), devo raccontarvi una storia. Una storia di marketing ante litteram. Una storia che inizia nel 1790.

Francesco Longano era un illuminista, medico, economista. Uno di quei personaggi che il '700 produceva in serie: gente che pensava che la ragione potesse salvare il mondo. Nel 1790 pubblica "Viaggio per la Capitanata", un reportage sulla provincia di Foggia.

In quel libro c'è una frase. O meglio, c'è quello che è diventato il nostro certificato di nascita con la scritta "scusate per il disturbo" stampata sopra:

"Fuggi da Foggia, non per Foggia ma per i Foggiani".

Quella frase è stata ripetuta per duecento anni. È stata citata da giornalisti, scrittori, politici. È diventata la nostra condanna genetica. La prova che siamo invivibili. Che il problema non è la città (che in fondo ha una storia, ha una posizione strategica, ha risorse), ma noi. La gente. I foggiani sono il cancro di Foggia.

Solo che è falsa.

Sarah, una delle protagoniste del mio libro (bibliotecaria, archivista, custode della memoria), ha passato tre anni a tradurre Longano. Il latino maccheronico, l'italiano arcaico. E ha scoperto la verità.

Longano non ha mai detto "Fuggi".

Ha detto "Pulisci". O meglio, "Purgare". Parlava di igiene urbana. Di fango. Di risanamento. Diceva che Foggia doveva pulire le strade, migliorare le condizioni sanitarie. Era una critica urbanistica, non una condanna morale.

Ma qualcuno - un burocrate pigro, un copista distratto, un barese invidioso - ha cambiato una parola. Una sola parola. "Purgare" è diventato "Fuggire". E noi ci abbiamo creduto. Per duecento anni ci siamo sentiti in colpa per essere nati qui.

È quello che fa il marketing cattivo.

Ti fa credere che il problema sei tu, non il prodotto. Ti fa credere che devi cambiare, adattarti, scusarti. Non che devi scegliere meglio, pretendere di più, ribellarti.

Tre Punte: anatomia di una vendetta letteraria

Ho scritto un libro. Si chiama "Tre Punte: storia di una rivoluzione foggiana fritta nell'olio della verità".

Non è un romanzo. Non è un saggio. Non è un memoir. È un heist movie letterario dove il bottino non sono i soldi ma l'identità. È Ocean's Eleven con la padella invece della valigetta. È un piano criminale per vendicarsi di due secoli di fake news usando l'arma più potente che abbiamo: il cibo.

La trama (senza spoiler)

Luca è un consulente di marketing a Milano. Uno bravo. Lo chiamano "Il Pianista" perché sa suonare le percezioni. Se un'azienda di bulloni della Brianza vuole sembrare un atelier di alta gioielleria sostenibile, chiamano lui.

Una sera, a un aperitivo aziendale, una collega gli dice quella frase: "Non è colpa tua".

Luca decide di tornare a Foggia. Non per visitare. Non per nostalgia. Per fare una rapina. Vuole rubare il sorriso di sufficienza dalla faccia di Milano. Vuole prendere il fango, la polvere, l'olio fritto, le urla dello Zaccheria, il cigolio dei cavalli della Villa, l'SMS di suo padre e trasformarli nell'oro più puro che questi stronzi abbiano mai visto.

Il piano? Aprire un ristorante clandestino. Un Ipogeo segreto dove si frigge la verità. Dove si servono piatti rubati (l'Assassina, lo Scagliozzo) e si racconta chi li ha inventati davvero. Dove si usa il cibo come arma di rivendicazione culturale.

Ma non è solo una storia di cibo. È una storia di identità, di memoria, di cosa significa portarsi dentro un posto che non hai scelto ma che ti ha scelto.

Le tre punte: tre geometrie della rivincita

Il titolo non è casuale. "Tre Punte" non sono solo le tre aree geografiche che definiscono la provincia di Foggia (il Gargano, il Subappennino Dauno, il Tavoliere). Sono tre modi di pensare. Tre filosofie. Tre forme geometriche dell'identità.

Prima punta: Lo Scagliozzo

Lo scagliozzo è un pezzo di polenta fritta. Triangolare. Perfetto. Geometrico. Ha tre lati, tre angoli, tre punte.

È nostro. Lo friggiamo da secoli, eredità della transumanza: i pastori scendevano dall'Abruzzo per svernare nel Tavoliere, portando nelle bisacce la farina gialla. Qui finiva il viaggio. Qui la farina di mais diventava pane, focaccia, scagliozzo.

Ci siamo dimenticati che è nostro. L'abbiamo lasciato rubare a Bari, che lo chiama "sgagliozza" (femminile, più carino, più vendibile) e lo vende ai turisti delle navi da crociera come fosse loro da sempre.

Nel libro, il protagonista usa lo scagliozzo come manifesto. Come dichiarazione di guerra. Se il triangolo ha tre punte è per attaccare, non per difendere.

Seconda punta: Il 4-3-3 di Zeman

Anni '90. Foggia ha un momento di gloria calcistica inspiegabile. Un allenatore cecoslovacco pazzo, Zdeněk Zeman, fa giocare la squadra con un modulo suicida: 4-3-3. Attacco totale. Sempre. Tre punte. Rischiare tutto per vincere in modo spettacolare. Non gestire il risultato. Correre fino a sputare i polmoni.

Quella filosofia non era calcio. Era esistenza. Era il modo in cui dovevi vivere a Foggia: o tutto o niente. Non difendere. Non gestire. Attaccare. Sempre.

Nel libro, Zemanlandia non è finita. È sospesa. La partita si sta ancora giocando, eterna, su un campo platonico dove Signori non invecchia mai e Baiano segna sempre.

Terza punta: Gli Spaghetti all'Assassina

L'Assassina è un piatto nato dalla rabbia. Lo ha inventato Enzo Francavilla, foggiano, nel 1967. Ma lo ha inventato a Bari. Perché era in esilio. Lavorava per gli altri. Cucinava in terra straniera.

Una sera due clienti del Nord gli chiesero qualcosa di forte. Enzo non voleva fargli un'arrabbiata. L'arrabbiata è banale. Lui voleva fargli male. Voleva fargli sentire il sapore della terra bruciata dal sole di luglio a Foggia.

Così prese gli spaghetti e li bruciò. Li "risottò" nel pomodoro finché non caramellarono. Finché lo zucchero del pomodoro non divenne carbone. Gli diede tutto il diavolicchio che aveva. Tutto il dolore dell'esilio.

Quando i clienti lo mangiarono, iniziarono a sudare. A piangere. Il respiro gli mancava. E uno di loro, rosso in faccia, disse: "Tu sei un assassino".

Enzo sorrise. Perché sapeva che era un complimento. Aveva appena inventato l'unico piatto che ti uccide e ti fa rinascere.

Poi Bari se l'è preso. Come lo Scagliozzo. Hanno fatto l'Accademia dell'Assassina. Hanno fatto le magliette. L'hanno messa in una serie TV della RAI (Lolita Lobosco) dove una vicequestore in tacco dodici gira per Bari vecchia e la mangia come se fosse il pane quotidiano dei baresi da mille anni.

Enzo Francavilla è dimenticato.

Il libro è la vendetta.

Come si scrive una vendetta

Scrivere questo libro è stato strano. Non è il romanzo che volevo scrivere. È il romanzo che dovevo scrivere.

Ci sono libri che nascono dal talento. E libri che nascono dalla rabbia. Questo è il secondo tipo. E la rabbia, se usata bene, è il miglior copywriter del mondo.

Il metodo

1. Ho ascoltato il dolore invece di soffocarlo

Per anni ho fatto finta che quella frase ("non è colpa tua") non mi avesse fatto male. Poi ho smesso di fingere. L'ho presa, l'ho guardata in faccia e le ho chiesto: perché mi fa così male? La risposta è diventata la trama.

2. Ho usato il cibo come linguaggio

Nel marketing, quando non sai come dire una cosa, usi una metafora. Io ho usato il fritto. Perché il fritto è onesto. O è buono o è rancido. Non ci sono mezze misure. Come la verità.

3. Ho mescolato i generi

Non volevo fare un romanzo puro. Volevo fare un documentario narrativo. Un manifesto letterario. Una ricetta politica. Così ho preso il thriller (c'è un piano criminale), il romanzo di formazione (Luca scopre chi è), il food writing (si frigge molto), la critica culturale (si parla di identità rubate) e li ho fritti tutti insieme nell'olio della narrativa.

4. Ho scritto come friggo

Veloce. Bruciando. Senza paura di scottarmi. Ho scritto 30 capitoli che chiamo "Movimenti" perché il libro è una sinfonia. Ha ritmo. Ha crescendo. Ha silenzi. Ha esplosioni. Si legge veloce ma ti resta addosso per settimane.

5. Ho citato quello che amo

Nel libro ci sono Zeman, gli Pseudofonia, Umberto Giordano, Nannina (la friggitrice rivoluzionaria del 1880), Michela Murgia, il Nokia 3310, i cavalli della Villa Comunale, il vento del Tavoliere, l'SMS di mio padre.

Non sono citazioni colte. Sono pezzi di me. Pezzi di tutti noi.

I personaggi (senza spoiler)

Luca - Il Pianista

Il protagonista. Consulente di marketing a Milano. Quello che è scappato e ce l'ha fatta. Ma è davvero scappato? O si è solo nascosto?

Momo - Lo Shamano

Il friggitore. 60 anni. Canottiera bianca a maggio. Grembiule che è una mappa geografica di macchie d'olio. Frigge da cinquant'anni. Conosce la temperatura dell'olio ad orecchio. È un Fa diesis. Quando l'olio canta giusto, lui frigge. Anche al buio.

Sarah - La Custode

La bibliotecaria. L'archivista. Quella che ha scoperto la verità su Longano. Quella che sa che il potere prende, ma la potenza genera. Quella che ha capito che la rivoluzione non si fa col fucile, ma col punto croce.

Il Gigante (Peppe)

Non parla quasi mai. Ma ascolta tutto. Sente le cose prima che succedano. È l'Antenna. Il Custode. Quello che difende il forte senza usare le parole. Perché le parole sono troppo piccole per quello che ha da dire.

Il Barone (Lello)

L'antagonista. Il Re del Cemento. Quello che ha comprato mezza città per trasformarla in centri commerciali. Quello che vende lo Scagliozzo precotto a 4 euro nel suo fast food. Quello che ha capito che per vincere non devi creare valore, devi controllare la narrazione.

Donna Imma

La moglie del Barone. Quella che ha passato la vita a non sporcarsi. A essere perfetta, stirata e inamidata come le lenzuola del corredo che odorano di naftalina e morte. Fino a quando Sarah non le fa assaggiare la libertà. E la libertà sa di olio bollente.

Confessione di un pubblicitario

Ora arriva la parte difficile. Quella in cui devo dirvi di comprare il libro.

Per anni ho venduto le bugie degli altri. Ho trasformato bulloni in gioielli. Ho fatto sembrare sexy le assicurazioni vita. Ho convinto la gente che aveva bisogno di cose di cui non aveva bisogno.

E ora devo vendere la mia verità.

Come faccio senza essere un ipocrita?

Ho deciso di fare una cosa semplice: dire esattamente cosa voglio.

Voglio che compriate questo libro.

Non perché ho bisogno di soldi. Amazon con i libri non ti fa ricco, ti fa al massimo meno povero. Non perché voglio diventare il nuovo Saviano della letteratura foggiana. Non perché voglio la fama.

Lo voglio per un motivo egoista e onesto:

Voglio vedere se la mia teoria funziona.

La teoria che la verità vende più della retorica. Che l'autenticità batte il marketing patinato. Che un libro scritto con rabbia, unto d'olio e fritto nell'onestà, possa competere con i bestseller delle grosse case editrici che hanno budget marketing da sei zeri.

Voglio vedere se voi, che mi leggete, che mi conoscete (o credete di conoscermi attraverso quello che scrivo), vi fidate abbastanza da darmi 10 euro e tre ore del vostro tempo.

E voglio che lo leggiate per tre motivi:

1. Se siete di Foggia

O ci avete vissuto, o ci avete un pezzo di cuore, questo libro vi farà incazzare o vi farà piangere. Forse entrambe le cose. Vi farà riconoscere l'odore dell'olio, il suono del vento, il sapore del grano arso. Vi farà tornare bambini in sella ai cavalli di ferro della Villa. Vi farà urlare "Zeman!" senza motivo. Vi farà odiare e amare questo posto impossibile con la stessa intensità con cui lo odiate e amate già.

2. Se non siete di Foggia ma avete un "posto complicato"

Quello da cui siete scappati. Quello che vi vergognate di amare. Quello che quando lo nominate la gente fa una faccia strana. Quello che vi ha dato la forma anche se voi non lo ammettete. Quello per cui qualcuno, una volta, vi ha detto "non è colpa tua se sei nato lì".

Capirete ogni parola.

Perché questo non è un libro su Foggia. È un libro su cosa significa portarsi dentro un posto che non hai scelto ma che ti ha scelto.

3. Se fate marketing, comunicazione, pubblicità

Questo è un case study pratico su come si trasforma un territorio in un brand senza vendere l'anima. È storytelling vero, quello sporco, quello che fa male. È la dimostrazione che il miglior marketing non è quello che nasconde i difetti, ma quello che li trasforma in asset.

È la prova che la vulnerabilità vende. Che l'imperfezione attrae. Che la gente è stanca di mangiare plastica patinata e vuole qualcosa che scotta.

Cosa c'è dentro (promesse mantenute)

135 pagine. 30 movimenti. Si legge in tre ore. Ma ti resta addosso per settimane. Come l'odore dell'olio. Come il piccante dell'Assassina. Come il ricordo di un posto che pensavi di odiare e invece hai solo dimenticato di amare.

Dentro troverete:

  • Un piano criminale per vendicarsi usando il cibo
  • La storia vera dell'Assassina e di Enzo Francavilla
  • La storia vera dello Scagliozzo e della transumanza
  • La filosofia calcistica di Zeman applicata alla vita
  • Il diario di Nannina, la friggitrice rivoluzionaria del 1880
  • Un blackout nell'Ipogeo dove Momo frigge al buio ascoltando l'olio
  • Un matrimonio trash con 500 invitati dove tutto va male
  • Una rivolta gastronomica al centro commerciale
  • Il Nokia 3310 di un padre morto che manda messaggi dal passato
  • Un banchetto notturno dove le donne di Foggia macchiano il corredo sacro
  • La verità su Francesco Longano e la fake news secolare
  • Umberto Giordano e Philadelphia
  • Il 24 dicembre foggiano a giugno
  • E soprattutto: la dimostrazione che non è colpa tua. È la tua forza.

Il link e la richiesta

[COMPRA TRE PUNTE SU AMAZON] -> https://amzn.eu/d/39znFyq

Costa meno di un aperitivo in piazza Gae Aulenti. Meno di due panini al GrandApulia. Meno della vergogna di fingere di essere qualcun altro.

Ma vi chiedo tre cose:

1. Lasciate una recensione su Amazon

Sincera. Anche se vi è sembrata una merda. Le recensioni oneste (quelle vere, non quelle comprate) aiutano più di qualsiasi campagna marketing da 100.000 euro. E io non ho budget. Ho solo voi.

2. Regalatelo a qualcuno

Se vi piace, non tenetevelo per voi. Regalatelo. A chi è scappato e si sente in colpa. A chi è rimasto e si sente sbagliato. A chi pensa che il successo sia solo altrove. A chi ha un padre morto che gli ha scritto "sarà un successo" e non sa più cosa significhi.

3. Ditemi cosa ne pensate

Scrivetemi. Sui social, via email, in privato. Non per ego (ok, un po' per ego). Ma perché voglio sapere se sono riuscito a raccontare Foggia in un modo che non avete mai sentito. Se sono riuscito a friggere la verità senza bruciarla.

Prima di salutarci

Questo è stato l'articolo più difficile da scrivere. Perché parlare di un libro che hai scritto è come presentare tuo figlio: hai paura che lo trovino brutto, che lo prendano in giro, che lo rifiutino.

Ma se devo essere coerente con tutto quello che predico - l'autenticità, la trasparenza, il coraggio di essere imperfetti - allora devo farlo così. Senza scuse. Senza vergogna.

Questo libro esiste perché qualcuno mi ha detto "non è colpa tua".

Questo libro esiste perché mio padre è morto credendo che il successo fosse andarsene.

Questo libro esiste perché Foggia non è minuscola. È maiuscola. È un Nome Proprio. E i nomi propri non si dimenticano.

Grazie per essere arrivati fino qui.
Grazie per la vostra attenzione (che è la valuta più preziosa).
E grazie, in anticipo, a chi mi darà una possibilità.

P.S.

Nel libro c'è una scena in cui il protagonista rovescia l'olio esausto della padella di Momo sul plastico di un centro commerciale da 50 milioni di euro. Davanti al Barone. Davanti a tutta la città bene di Foggia. Sul "Borgo Diffuso" perfetto, bianco, immacolato, finto.

L'olio nero e viscoso cola sui palazzi bianchi immacolati. Imbratta la Spa nell'Ipogeo. Annerisce le strade perfette. Cola come lava. Come verità.

E Luca guarda il Barone negli occhi e dice: "Vacc u'cund a Caracozz."

Vallo a raccontare a Caracozzi. Vallo a raccontare a quel fantasma immaginario a cui i foggiani affidano le storie impossibili, le bugie troppo grosse per essere credute.

Quella scena è successa nella mia testa mille volte. Ogni volta che qualcuno mi chiedeva "quando torni a Milano?". Ogni volta che vedevo Foggia raccontata male. Ogni volta che sentivo quella frase: "non è colpa tua".

Ora l'ho scritta.

E fa ancora più male leggerla che immaginarla.

Ma è un dolore che vale la pena provare.

P.P.S. - Did You Know?

Umberto Giordano, compositore di opere liriche, è nato a Foggia nel 1867. La sua opera più famosa, "Andrea Chénier", contiene l'aria "La mamma morta".

Nel 1993, quella aria è stata usata nel film "Philadelphia" con Tom Hanks. Nella scena in cui Andrew Beckett (morente di AIDS) traduce le parole per Joe Miller:

"La mamma morta... m'hanno alla porta della stanza mia... Io son l'amor! Io son la vita!"

Quella scena ha fatto piangere il mondo intero. Ha vinto l'Oscar. È diventata iconica. È stata studiata nelle scuole di cinema. È stata citata in mille analisi sul potere del cinema.

Nessuno sa che quelle note sono foggiane.

È sempre così. Creiamo bellezza. Scriviamo musica che spacca il cuore. E altri la prendono, le tolgono la polvere, le mettono la confezione bella e ci scrivono sopra il loro nome.

Questo libro è il mio modo di dire: basta.

È il mio modo di dire: "Io sono l'amore. Io sono la vita. E sono foggiano."

E non è colpa mia.

È la mia forza.

Alessandro Piemontese
Consulente di marketing, creativo pubblicitario, foggiano testardo
Zemaniano dal 1979 (fate voi i conti)

Condividi questo articolo se ti ha fatto sentire qualcosa. Rabbia, nostalgia, curiosità, riconoscimento. Non per farmi vendere copie (anche se non mi dispiacerebbe), ma perché credo che questa storia possa toccare chiunque abbia mai dovuto scegliere tra scappare e restare.

E soprattutto, condividilo con chi pensa ancora che "non è colpa sua".

Perché forse è ora di dirgli che si sbaglia.